“A ogni epoca la sua arte, all’arte la sua libertà” è la frase che campeggia sulla facciata del palazzo della Secessione a Vienna, ad opera del giovane architetto Joseph Maria Olbrich. E ha rappresentato il motto di questo movimento artistico che, tra gli altri, ha avuto come esponente Gustav Klimt.

Nei secoli l’arte è stata sempre riferimento fondamentale della società: strumento di potere, merce di scambio, esaltazione della grandezza del committente che si assicurava gli artisti più raffinati e richiesti del suo tempo.

Nel Novecento, nel turbinio delle Avanguardie artistiche, caratterizzate da giovani menti infiammate dalla bramosia di sperimentazione, comincia a scricchiolare gradualmente la libertà di espressione. Attraverso la censura e il controllo, la propaganda nazista si ripropone di ripristinare l’antico ordine classico dopo quella che viene considerata “arte degenerata”. Per gli artisti non allineati al regime c’è l’esilio: l’impossibilità di essere liberi in patria li costringe a fuggire negli Stati Uniti. Ed è lì che, dopo la crisi europea, si ricompone un nuovo sistema del fare arte, arrivato fino a noi.

Oggi l’arte ha subito molti cambiamenti, la globalizzazione e il digitale hanno sostituito i mezzi canonici di diffusione, favorendo le collezioni digitali. Ed è proprio grazie a questa tendenza all’estensione dei propri confini a salvarla.

Siamo in un altro momento di crisi, in una guerra silenziosa in cui non possiamo uscire da casa, frequentare i nostri posti preferiti e veniamo costantemente bombardati da notizie negative, 24 ore al giorno. In un momento del genere, in cui si pensa alla spesa per non rimanere senza scorte o si organizzano flash mob sui balconi di casa per combattere la noia e far vedere a tutti che ci vogliamo bene, che fine fa l’arte?

Molti musei hanno pubblicato dei tour virtuali, altri hanno scavato negli archivi sin dalla propria fondazione per mettere online le varie mostre che sono state organizzate nel corso degli anni. Ma gli artisti e le istituzioni del territorio come vivono questo momento di pausa forzata? A cosa serve l’arte oggi?

Lo abbiamo chiesto a Michele Giangrande, artista pugliese che nella sua recente produzione ha realizzato un progetto intitolato BUNKER, a cura di Alexander Larrarte. Un percorso che si snoda nel sottosuolo tra claustrofobiche pareti in cemento e raccoglie opere site specific, con un emblematico “senza titolo” in omaggio alle vittime di tutte le guerre di cui non si è mai accertata l’identità.

In un momento di emergenza come questo che fine fa l’arte?

La risposta è alquanto semplice, contrariamente a quanto si possa pensare.

Ritengo questo periodo una sorta di “macabro privilegio” perché, come artista e come essere umano, mi è stato donato quel tempo che ormai non abbiamo quasi più a causa della corsa contro lo stesso (il tempo), affannandoci per raggiungere obiettivi sempre più lontani dalla nostra condizione naturale di essere viventi.

Una triste opportunità: “triste” perché a spese di gente che purtroppo sta soffrendo o, nei peggiori dei casi, perdendo la vita; “opportunità” perché mai come prima d’ora (o comunque dall’ultima pandemia dell’era moderna così come la conosciamo) ci ritroviamo di nuovo a parlare con nostra madre, nostra moglie, i nostri figli, amici ecc.

Riscopriamo le piccole cose e il tempo che scandisce lievemente le nostre azioni quotidiane. Il nostro spirito. Dopo tantissimo tempo, o addirittura per la prima volta in vita nostra, non abbiamo più un luogo da raggiungere, siamo già nel luogo migliore che ci possa essere: la nostra dimensione intima e personale.

Credo che tutto questo cambierà il mondo per come lo conosciamo. Cambierà tutti noi.

In questa condizione gli artisti trovano linfa vitale e terreno fertile nel quale coltivare le proprie passioni e approfondire la propria ricerca intellettuale. Io che ho la fortuna di vivere nella mia casa/studio posso solo prendere il meglio da questa condizione che tutto è tranne che forzata se vista con pensiero laterale.

Le giornate continuano sempre e comunque ad essere troppo brevi per i nostri gusti.

Del resto gli artisti, si sa, non si annoiano mai.

Quale può essere la risposta di chi fa arte contemporanea?

L’arte contemporanea durante e post pandemia racconterà la punizione per il ciclopico capitalismo piegato da un essere infinitamente piccolo.

Davide contro Golia, dove il gigante rappresenta l’ormai smisurata scelleratezza della vita che conduciamo.

In questi giorni mi sto concentrando nel vedere questa pandemia da un altro punto di vista. Non come punizione, appunto, ma come possibilità di cambiamento. Il bicchiere mezzo pieno.

Certo di fronte ad una serie di persone decedute mi chiederete dove sarebbe il bicchiere mezzo pieno. Bene, d’accordo, ma proviamo a riflettere.

Siamo relativamente giovane come specie (quella umana intendo) rispetto ai virus che hanno miliardi di anni. Quindi partiamo dal presupposto che non stiamo avendo a che fare un “pivello”.

Detto questo, rispetto ai morti per corona virus registrati in Cina, per esempio, nel periodo di quarantena forzata, sono corrisposte molte più morti scongiurate a causa dell’inquinamento, che, grazie alla quarantena, è diminuito drasticamente.

Allora la riflessione da fare è probabilmente chiedersi se prima della venuta del Covid-19 c’era già qualcosa di molto più aggressivo e nocivo per il genere umano: noi.

L’esperienza di Bunker, nella sua accezione psicologica può essere attualizzata ai giorni nostri?

Il progetto BUNKER si rivela ancora una volta anticipatore dei tempi. Un’operazione così complessa e articolata che ha puntato l’accento sulle sensazioni ed emozioni piuttosto che sulla spettacolarità dell’arte. Un progetto che porta alla riflessione sulla condizione di isolamento claustrofobico, diversa, ma anche uguale a quella che viviamo oggi: paura, angoscia, incertezza, un nemico alle porte.

BUNKER, ma anche i successivi e più recenti progetti come “Fino a qui tutto bene” sulla caducità della vita e il film “The Hyperzoo” scritto e diretto da me sul tema dell’apocalisse sociale, tornano oggi alla memoria come echi lontani di un passato che in realtà non solo è il nostro presente, ma che senza troppi sforzi di fantasia sarà anche il nostro immediato futuro.

I progetti citati, ai quali sono stati dedicati dei bellissimi documentari visibili sul mio canale Youtube, sono la dimostrazione di come l’arte può leggere acutamente la realtà e addirittura prevenirne alcuni aspetti futuri.

L’unica cosa che possiamo e dobbiamo fare oggi è interrogarci sulla condizione in cui versiamo e verseremo e se davvero vale la pena di correre sempre o se, qualche volta, è bello anche fermarsi per ritrovarsi.

Del resto non possiamo dire che ci manchi il tempo per farlo.

Photo credit: Marino Colucci