Perché ho aperto un blog?

Forse è la domanda che mi viene fatta più spesso.

E puntualmente io rispondo così "Ho aperto il blog al rientro dagli Stati Uniti per documentare i miei viaggi. Tutto è nato da un'urgenza di scrivere". La verità.

Quello che non tutti sanno è che a ventidue anni non ho aperto Pensieri in Viaggio con la presunzione di ergermi a viaggiatrice seriale. Non volevo indossare abiti consunti che non mi appartengono, non volevo fare della mia vita un sequel di Into the wild.

Non avevo una valigia sempre pronta per essere riempita, non avevo decine di storie da raccontare.

Volevo scrivere, semplicemente.

E viaggiare.

Con la curiosità di chi, da bambino, avrebbe voluto viaggiare molto di più ma non ha potuto. Con l'umiltà di chi ammette la propria ignoranza ed è ben consapevole di avere ancora tanta strada da fare, ancora tanto da imparare.

Muovevo così i miei primi passi in un mondo di blogger navigati e collezionisti di timbri sul passaporto. Mi sentivo un po' come uno di quei pinguini buffissimi che avanzavano arrancando a Boulders Beach, in Sudafrica.

Mi sentivo goffa in un mondo di perfezione. Mi sentivo un puntino.

Col passare del tempo la mia vita è cambiata e ho iniziato a muovermi con passi più decisi, molto più consapevoli. Ho iniziato a viaggiare molto di più tanto da potermi definire viaggiatrice seriale, tanto da avere sempre una valigia (mezza) vuota tra i piedi, ma senza abbandonare quella sensazione di essere ancora all'inizio di un percorso, di avere ancora molto da apprendere.

E diamine, questa cosa non vorrei cambiarla per niente al mondo. Non vorrei mai sentirmi arrivata, non vorrei mai sentirmi migliore di chi mi circonda. Lo trovo aberrante.

E quindi siamo arrivati a tre. Tre anni di blog.

Ad essere sincera, se non ci fosse mia madre a scandire ogni anno con una torta dedicata al banner del blog, beh, credo faticherei a ricordarlo.

Mia madre.

Forse è la cosa più preziosa che mi ha regalato questo blog. Ridere e costruire un rapporto di complicità con la persona a cui tengo di più e con cui ho sempre fatto fatica ad aprirmi.

Questo blog è un ponte tra me e lei. Un filo invisibile attraverso il quale mia madre si documenta sui miei viaggi, sui miei frammenti di vita, sui miei pensieri.

Per me ha imparato a usare Google Chrome, a sbirciare la mia pagina Facebook dal browser, a guardare le mie foto su instagram tramite un account posticcio.

Lei è la donna che più stimo al mondo. Ed è la mia fan numero uno.

Questa è la mia più grande conquista, adesso posso dirlo.

Una conquista che va oltre le etichette, oltre le polemiche sterili. 

Quando penso a questo tutti i lati negativi del blogging e dei social media svaniscono.

E sono grata di aver iniziato questo percorso, questo viaggio che sì, mi ha portato ad esplorare confini a me ignoti, ma soprattutto mi ha portato a mettere in discussione le mie priorità. A prendermi cura di quello che ho sempre avuto ma a cui non avevo mai prestato troppa attenzione, reputandolo scontato.

Questo percorso mi ha fatto mettere l'amore al centro di tutto.

L'amore per la vita, per le mie passioni, per i miei affetti. L'amore per me stessa.

E sono grata di essermi in un certo senso persa, perché altrimenti non avrei trovato quello che oggi, per me, è essenziale.

Un po' come scrive Gabriele Romagnoli in Solo Bagaglio a mano:

“Un giorno ho incontrato Tony Wheeler, ideatore delle Lonely Planet, le guide di viaggi più diffuse al mondo, e gli ho sentito dire: ‘Il più delle volte ho trovato quel che cercavo quando mi sono perso’.”